Quanto siano a misura delle persone con demenza e delle loro famiglie le nostre città, i nostri quartieri, i luoghi di socialità che frequentiamo? In Federazione Alzheimer Italia ce lo chiediamo ogni giorno.
È questa la domanda che guida ogni nostro progetto e ogni nostra azione quotidiana, perché il numero di individui è enorme: solo in Italia si parla di oltre 1 milione e 200 mila persone con demenza, che con i loro familiari diventano più di 3 milioni. La diagnosi di demenza non riguarda infatti solo e unicamente il malato, ma coinvolge anche chi gli sta accanto e si prende cura di lui, costretto a sopportare il carico di un’assistenza sfibrante e relegato gradualmente a un mondo fatto di buio, sconforto ed esclusione sociale.
Negli ultimi 25 anni, da quando guido la Federazione, ho visto crescere in generale l’attenzione intorno alla malattia, ma l’isolamento e l’emarginazione continuano ad accompagnare le famiglie. Da un nostro sondaggio abbiamo rilevato che ben il 75% delle persone con demenza e il 64% dei loro familiari denunciano ancora stigma.
Per combatterlo è necessario prima di tutto conoscere e comprendere i bisogni delle persone coinvolte: adottare un approccio centrato non più sulla malattia ma sul malato. La persona con demenza è un uomo o una donna con una sua identità, una sua personalità, un suo mondo interiore che non vengono cancellati dalla malattia. Come ci ha raccontato Padre Giancarlo, malato di Alzheimer, “la malattia non toglie niente alla tua umanità… non toglie la capacità di essere padre, madre, figlio”.
Oggi infatti la possibilità di “cure”, cioè di intervento terapeutico mirato alla guarigione, è ancora limitata perché i farmaci hanno un’efficacia modesta e non sono risolutivi. È per questo che diventa sempre più importante la “care”, cioè il prendersi cura della persona malata per migliorarne la qualità di vita sotto tutti gli aspetti: da quello cognitivo a quello comportamentale, dalla sfera psicologica a quella fisica, dalla cura individuale alla struttura dei servizi socio-sanitari.
Osservare e ascoltare il malato, conoscere i suoi bisogni, i suoi gusti, i suoi valori, i suoi interessi: questa deve essere la nuova modalità nell’assistenza e nel prendersi cura delle persone con demenza. Questa è quella che chiamo vera “innovazione”.
L’innovazione al servizio della persona con demenza significa allora dar voce ai malati e modificare così l’approccio alla malattia. Un concetto, ma anche un progetto concreto, che nel convegno aperto al pubblico del 14 settembre a Milano, in occasione della XXV Giornata Mondiale Alzheimer, racconteremo anche attraverso il network delle Comunità Amiche delle Persone con Demenza.
Ascoltare, accogliere, comprendere, coinvolgere le persone con demenza: questo è il compito di una Comunità Amica. Può trattarsi di una città, di un paese o di una porzione di territorio, in cui le persone colpite da demenza sono rispettate, comprese, sostenute e fiduciose di poter contribuire alla vita della comunità. Una comunità, quindi, dove l’obiettivo principale è aumentare la conoscenza della malattia come strumento per ridurre lo stigma nei confronti dei malati e dei loro familiari, in modo da permettere loro di partecipare alla vita attiva della comunità e migliorarne la qualità di vita.
La domanda iniziale allora può essere più specifica: quanto siamo già Comunità Amica? E quanto di ciò che provano le persone con demenza può essere utile per rendere le nostre comunità più inclusive e di aiuto?
È questo un obiettivo a lungo, lunghissimo termine, ma che vale la pena di perseguire perché in grado di portare a un reale cambiamento sociale. A oggi sono 14 le città in Italia che hanno deciso di accettare questa sfida e intraprendere il cammino per diventare Comunità Amica, perché se la società nel suo complesso si sensibilizza e mette in atto programmi di sostegno per i malati e le loro famiglie, allora “vivere con la demenza” diventa possibile.
L’immagine che associo a questo approccio ci viene offerta dalle fotografie dell’americana Cathy Greenblat, raccolte nel libro Love, loss and laughter – Seeing Alzheimer’s differently, che ritraggono persone con demenza colte in momenti di quotidianità e “normalità” accanto ai propri familiari o carer, con l’obiettivo di mostrare come, anche dopo la comunicazione della diagnosi, la persona con demenza possa continuare a relazionarsi serenamente con gli altri e a vivere una vita piena di significato. Una selezione di questi scatti sarà in mostra durante il convegno di Milano e in altre 33 città italiane per tutto il mese di settembre, a disposizione di chiunque voglia osservare come sia realmente possibile, tra amore, perdita e risate, avere una visione differente dell’Alzheimer.
Gabriella Salvini Porro – presidente Federazione Alzheimer Italia